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LIBRI 2007
LA VERITA’ NELLA STORIA
DI ROMOLO GOBBI
Dialogos
In occasione della traduzione in francese di due miei vecchi libri,
sperando che destino maggior interesse di quanto ne hanno ottenuto in
Italia, mi sono deciso a tentare un nuovo contatto con i lettori
italiani. Approfitto della rete anche per divulgare un libro, arrivato
alle seconde bozze, ma mai stampato in Italia: "Tre piccoli popoli
eletti", una storia parallela di Irlanda del Nord, Sudafrica e Israele.
Ancora una volta, ho insistito sull'importanza del mito nella
determinazione della storia, senza ignorare gli interessi economici e le
forze politiche. Più in generale, il metodo storico da me usato è la
sintesi delle tre grandi metodologie della storiografia moderna: il
materialismo storico, il "lungo periodo" de "Les Annales" e l'importanza
della religione, sostenuta da Toynbee. Il risultato dovrebbe essere una
visione della storia ispirata alla "teoria della complessità", libera
dagli schemi razionalisti e non influenzata dal mito occidentale del
progresso infinito.
Esiste un concetto di verità che è dominante tra la gente: è vero ciò
che è accettato dalla maggioranza della popolazione. A pochi viene il
dubbio che questa verità sia il risultato di manipolazioni
cultural-politiche finalizzate a coprire altre verità e, spesso,
interessi nascosti.
Eppure esiste anche a livello della saggezza popolare il detto: “la
verità offende”. Dunque, non sempre, o meglio, raramente, la verità
coincide con il pensiero dominante, sostenendo il quale si ricevono
onori e riconoscimenti. Se invece la verità enunciata suscita reazioni
indignate, vuol dire che essa ha toccato nel vivo interessi costituiti,
carriere costruite, pigrizie consolidate.
Le reazioni indignate all’uscita dei libri di Pansa “Il sangue dei
vinti” prima e “La grande bugia” poi, dimostrano la validità del
concetto popolare che “la verità offende”. Ma dimostrano anche la
validità dell’assunto che esistono nella storia sempre due verità,
quella dei vinti e quella dei vincitori. Dunque, si potrebbe concludere
che in storia la verità ultima debba sortire da una mediazione tra la
verità dei vinti e quella dei vincitori. In questo senso sembrerebbe
muoversi l’accordo firmato tra Francia e Germania di costituire un’équipe
di storici delle due nazioni per scrivere un testo di storia comune per
le scuole dei due Paesi, sebbene a distanza di quasi due anni
dall’annuncio dell’iniziativa ancora non si sia sentito nulla. In
realtà, nonostante la buona volontà, le due verità possono dimostrarsi
incompatibili: basti pensare che esistono quattro versioni contrapposte
del conflitto che ha scisso l’ex Jugoslavia e che nei vari tronconi gli
studenti devono studiare la versione serba, o quella croata, o quella
bosniaca o quella slovena. In questo caso è chiaro che il lavoro di
mediazione tra storie diverse si fa sempre più complesso.
Bisogna dunque far ricorso ai principi della teoria della complessità,
la nuova scienza che unifica varie branche dello scibile umano, dalla
fisica alla biologia, all’etologia, all’antropologia culturale e alle
scienze cognitive. Queste ultime riuniscono la psicologia con la
neurologia, la filosofia, l’informatica, le reti neuronali,
l’intelligenza artificiale. Una delle prime scoperte delle scienze
cognitive è che il nostro cervello funziona secondo lo schema
vero-falso, che corrisponde allo 0-I dell’informatica, o alla corrente,
aperto-chiuso, dell’elettronica. Dunque il nostro cervello costruisce
delle griglie che fanno passare solo le informazioni che rientrano nella
categoria di vero e respingono quelle che contrastano con questa. Per
superare questo schema fissato dalla natura nel nostro cervello non
basta cercare una mediazione tra i due poli contrapposti, bisogna invece
cercare un terzo polo, che si contrapponga agli altri due in modo da
ricostruire una nuova polarità vero-falso. Ovvero, per usare lo schema
fondamentale della politologia, “amico-nemico”, bisogna individuare un
nuovo nemico, che accomuni vincitori e vinti (francesi e tedeschi). Solo
così si potrà costruire una nuova verità che superi le precedenti.
L’operazione non è semplice, soprattutto se il nuovo nemico comune è
anche l’unico, vero, vincitore. Infatti, il vincitore avrà costruito una
sua verità, che sarà quella dominante e a sostegno del dominio culturale
ci sarà il dominio economico e finanziario della potenza vincitrice.
Ragionando da europei, quali siamo, potremmo individuare facilmente
l’antagonista comune, quello che si contrappone economicamente alla
crescita europea e che ha imposto alla cultura europea la sua verità
storica. Sto parlando degli USA, la cui politica recente è nettamente
contrapposta a quella europea, anche se pare che alcuni governi europei
non se ne siano accorti mentre altri sono scesi a compromessi con la
potenza dominante.
In realtà, la storia degli Stati Uniti è stata sempre improntata
dall’antieuropeismo, fin dalle origini, ma soprattutto per tutto il XX
secolo. Per capire questa verità bisogna scoprire le basi su cui
poggiarla: le potenzialità espansive dell’economia americana fin dalla
fine dell’800 erano ostacolate dagli imperi coloniali europei, che
costituivano dei mercati esclusivi per le nazioni colonialiste. E’ stato
dunque interesse prevalente degli USA eliminare gli imperi coloniali
europei per arrivare al mercato globale di cui tanto si parla oggi, che
non esce dal cappello di Smith o Marx, ma dalla politica estera
americana fin dall’800. Prima ancora della dottrina Monroe, che
escludeva esplicitamente l’Europa dal continente americano, vi furono le
dichiarazioni d’indipendenza degli stati del centro e del sud America,
alle quali contribuì certamente la politica USA.
Dopo questo primo attacco all’impero portoghese e spagnolo, vi fu la
guerra ispano-americana (Remember the Maine the evil to Spain) con la
conquista di Cuba, con l’accaparramento della famigerata base di
Guantanamo e la conquista delle Filippine, che procurarono agli USA una
sanguinosa guerriglia. Eliminato l’impero spagnolo, restavano da
eliminare i più vasti imperi europei: quello inglese, quello francese e
quello tedesco.
La versione ufficiale della prima guerra mondiale descrive gli USA come
potenza pacifica e neutrale, che però neutrale non fu, perché finanziò
fin dall’inizio gli Alleati in misura enorme (basti pensare che l’ultima
rata del debito inglese avrebbe dovuto essere pagata nel 1986 ! ).
L’intervento finale degli americani venne solo quando stavano per
vincere le potenze centrali e quindi le banche USA avrebbero perso
enormi fortune. In effetti, le nazioni europee prima della guerra
vivevano pacificamente da vari anni nel cosiddetto “Concerto europeo”
dominato dall’alta finanza, trasversale e unificante gli stati europei.
Senza il finanziamento americano l’Europa non si sarebbe dilaniata in
quello che è stato definito “il più grande errore della storia moderna”
(Niall Ferguson, “La verità taciuta”, Corbaccio). In conseguenza della I
guerra mondiale sparirono gli imperi minori, quello germanico, quello
russo e quello ottomano. Ma gli imperi più grandi di Francia e
Inghilterra finirono per ingrandirsi a spese di quello tedesco e
ottomano. E proprio per questo gli USA, che avevano dichiarato di essere
contrari alle annessioni, si ritirarono in isolamento, senza però
dimenticarsi che la loro potenza economica, cresciuta durante la guerra,
necessitava di più vasti mercati e aveva come principali ostacoli
l’impero inglese e quello francese.
Fu così che gli USA finanziarono Inghilterra e Francia perché
dichiarassero una nuova guerra alla Germania. Alla fine questa perse la
guerra, ma sparirono anche in pochi anni gli imperi inglese e francese e
subito quello degli alleati dei tedeschi, gli italiani e i giapponesi.
Ecco che l’industria americana, che aveva superato il 50% dell’intera
produzione industriale mondiale, potè avere il suo mercato globale o
quasi. Per ottenere la globalizzazione completa gli USA dovettero
affrontare e vincere la guerra fredda con l’URSS. Tra l’altro,
l’ideologia ufficiale della II guerra mondiale vede schierate le
democrazie contro gli stati totalitari, dimenticandosi appunto che il
principale alleato delle democrazie era lo stato superautoritario
dell’Unione Sovietica. Esiste un'enorme letteratura sugli espedienti
usati da Roosvelt per costringere gli Stati Uniti ad entrare in guerra (Pearl
Harbour) e per convincere la maggioranza degli americani (di origine
tedesca, italiana, irlandese, ma anche ebrei contro il mandato
britannico in Palestina) e dei loro rappresentanti al Congresso.
Eppure la verità ufficiale sulla II guerra mondiale è quella che si
trova sui libri di testo dei vinti e dei vincitori. Scalzarla non sarà
un’impresa facile, anche perché gli USA, oltre al dominio economico e
finanziario sul mercato globale, hanno anche realizzato un impero
mediatico a livello mondiale. Infatti la prima entrata del commercio
americano deriva proprio dalla vendita all’estero dei prodotti mediatici
americani: films, televisione, musica, etc… Quanti films abbiamo visto
sulla II guerra mondiale! E continuano ancora a farne! I films americani
distribuiti in Europa durante un anno costituiscono circa il 70%
dell’intero mercato e forniscono agli USA approssimativamente il 60% dei
circa 9,6 miliardi di dollari delle entrate americane annue per films
prodotti a Hollywood.
E’ per mantenere questo dominio mediatico-economico che gli USA, dopo
quasi vent’anni, sono tornati a far parte dell’UNESCO, l’organizzazione
dell’ONU che si occupa di educazione, scienza e cultura. Infatti,
durante la 32a sessione della Conferenza Generale dell’UNESCO, tenutasi
a Parigi nel 2003, era prevista l’approvazione di una “Convenzione per
la salvaguardia del patrimonio culturale” dei vari paesi, che
consentisse a i singoli stati di difendere la propria cultura,
intervenendo a finanziarne i prodotti. Gli USA fin dall’inizio della
Conferenza hanno fatto conoscere la loro opinione contraria all’adozione
di una Convenzione di questo genere (“Bad Idea”), che li avrebbe
danneggiati sul piano economico e ideologico, pretendendo che i prodotti
culturali fossero trattati come tutte le altre merci per le quali è
vietato ogni intervento degli stati nella produzione e nella difesa dei
prodotti nazionali.
Ciò nonostante, la Conferenza ha adottato il 17 ottobre 2003 a
schiacciante maggioranza dei 3000 delegati dei 199 paesi membri, una
Convenzione per la “Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale”,
e cioè “le tradizioni e le espressioni orali, comprese le lingue, in
quanto vettori del patrimonio culturale, le arti dello spettacolo …”, e
che consente il contributo degli stati in difesa delle proprie
espressioni culturali.
Naturalmente gli USA hanno votato contro e comunque non sarebbe la prima
volta che gli Stati Uniti si rifiutano di ratificare trattati approvati
da quasi tutti i Paesi, come l’accordo di Kyoto sulla riduzione delle
emissioni che provocano l’effetto serra o quello che istituisce la corte
internazionale sui crimini contro l’umanità e, infine, quelli che
vietano la produzione e l’uso delle mine anti-uomo e delle bombe a
frammentazione.
Tutta la vicenda della 32a Conferenza dell’UNESCO non ha avuto alcun
riscontro sulla “libera” stampa italiana, nonostante si trattasse di
problemi vitali per la cultura e l’economia del Paese. Il pensiero unico
dominante non solo ci fornisce le versioni addomesticate dei fatti, ma
ci nasconde anche i fatti quando questi parlano da soli. Dunque, se si
vuole essere all’altezza del conflitto in corso tra America ed Europa,
anche la verità storica deve produrre le proprie armi per difendersi
dalle pretese egemoniche di un pensiero unico a livello globale.
Romolo Gobbi
Fonte: http://www.romologobbi.com/index.asp
Link: http://www.romologobbi.com/articoli.asp?id=14
20.05.2007
Il testo, aggiornato e ridotto, di una mia conferenza "La verità nella
storia", tenutasi a Milano in occasione della Giornata di Studio: "La
Storia, La Scuola, La Memoria"
18/06/2007